sabato 23 ottobre 2010

IDENTITA’ e IMPEGNO

MOSTRA PITTORICA di
ANGELO CORTESE
promossa da
Artificio, nuova fucina di arti

Atterriti dal vuoto impregnato di elementi irrazionali che il tempo presente rivela attraverso le reazioni di una opinione pubblica smarrita nell’ingorgo delle sue stesse contraddizioni, ma affascinati dalla fame spirituale e dall'immensa speranza delle coscienze che tuttavia si colgono in tale smarrimento, Fabrizio Bancale, Evelina Nazzari e Gaia Riposati, avvertono l’urgenza di trovare un linguaggio di comunicazione condiviso e inventare una forma innovativa di dialogo. Tre diverse esperienze maturate nel medesimo grembo dell’arte teatrale, tre personalità accomunate dalla stessa ansia di raggiungere menti inaridite e coscienze assopite per vivificarle ed elevarle a nuovi germogli e che si trovano concordi nel riconoscere l’Arte quale linguaggio condivisibile e nel dar vita all’Artificio. L’Artificio, fucina dove si ritrova la creatività artistica, si assemblano le diverse forme d’arte, si trasmette la potenza profetica dei suoi capolavori. Fabbrica attraverso cui diffondere la parola Arte nella sua inebriante freschezza e attualità alle nuove generazioni così come alle generazioni non più giovani ma che estenuate dal proliferare di profeti respingenti, cercano rifugio in un irrazionale isolamento che le conservi immuni da ogni ipocrita contaminazione del mondo esterno. Eppure sono generazioni non settarie, ma aperte ai valori artistici di cui avvertono la straordinaria forza catartica. Ecco che nel cuore di Roma, nei pressi di quell’immenso scrigno della Grande Storia che è Castel Sant’Angelo, in uno spazio che è già testimone della piccola storia del Bagaglino e degli esordi della inarrivabile Gabriela Ferri, Artificio trova la sua collocazione e si propone con illuminante intuizione quale punto di incontro dove coniugare l’Arte nelle sue forme eterogenee. L’Arte divino dono, fiamma vivida, generosa genitrice di candide idealità, forza capace di fare del mondo un Pantheon di uomini liberi, uguali e affratellati.
In tale spazio e con tali finalità Artificio, ha iniziato il suo percorso con una esposizione di ANGELO CORTESE “La Repubblica delle arti”. Una esposizione di quadri sul tema della Bandiera Italiana che è bellezza visiva e fonte prodigiosa di riflessioni.
I quadri non sono nè numerati nè intitolati, quasi a rappresentare i diversi tasselli di un unico immenso quadro che racconta la storia e la grandezza della Bandiera Italiana. I tre colori della speranza, del candore, dell’eroismo, sono infatti ricorrenti, coniugati con sfumature cromatiche differenti, talvolta ostacolate da grate, tal’altra perforate da chiodi, oggetti contundenti, tal’altra ancora attraversati da reticolati a maglie strette. E’ la rappresetazione del cammino impervio che la Bandiera Italiana e con essa la nazione italiana hanno attraversato per raggiungere la forma compiuta e definitiva. Si legge dentro tali tasselli un mondo interiore, un senso di nostalgia, di qualcosa di desiderato e mai compiutamente raggiunto. Tasselli nei quali l’amore per la patria, la libertà ricercata, il senso di decadimento per la dignità collettiva offesa dal tradimento, il rigore morale, la coscienza del diritto e il sentimento del dovere, esprimono una tensione estrema verso una vita più alta e verso una vittoria dello spirito sulla materia. Esprimono una dialettica eroica tra la povertà dell’essere terreni e la ricchezza consolatrice dell’aspirazione a una coscienza collettiva e di popolo che sancisca una identità dispersa nel tempo. Cortese pare incarnare tutto questo nei suoi quadri. Pare un uomo nuovo annunciatore di una nuova e più vibrante sensibilità, poeta della irrequietezza interiore, della malinconia della inazione, dell’ansia di ritrovarsi affratellati dietro gli stessi colori, gli stessi valori di libertà, uguaglianza, fratellanza, assai manomessi da una coscienza individuale e collettiva del mondo e della Storia che ignorando la propria di Storia, ha dissipato la propria identità. Egli coglie allora il senso del ruolo dell’arte e suo personale nel richiamare ciascuno alla ineludibile missione di ricostruirla, pur consapevole della prioritaria necessità di superare l’ossessione distruttrice del separatismo, del territorialismo, del regionalismo. E si fa alfiere di una rigenerazione dei valori patriottici e liberali che ispirarono i moti risorgimentali e che permisero al Risorgimento di compiersi.
Dai suoi quadri pregni di macchie nere che rinviano a stormi di uccelli neri, pregni di linee oblique che si inviluppano in un groviglio di altre rette oblique, tormentati dall’ossessivo ritorno di borchie, chiodi, inferriate, si coglie tuttavia l’amara constatazione della drammatica insufficienza del tempo presente che ha distratto la ragione e sottratto risorse alla azione unificante che fu alla origine dei Tre Colori. Nuovo poeta romantico, lontano da integralismi e chiusure, Cortese rievoca il passato doloroso ma fecondo della nostra bandiera e convoca all’omaggio indiscusso, ostinato e perseverante di un simbolo di identità che ridia speranza alla dilagante disperazione e al diffuso smarrimento.

domenica 17 ottobre 2010

DUETTI VERDIANI

Amarilli Nizza e Roberto Frontali

assieme nella

Intensa esplorazione verdiana degli abissi spirituali nei rapporti padre-figlia

In sei duetti baritono-soprano il CD Duetti Verdiani propone una avvincente esplorazione degli abissi spirituali nei rapporti padre-figlia, intrecciati col più vasto e complesso sistema di poteri che li avvolge e condiziona. La non casuale scelta dei brani è una testimonianza inoppugnabile della evoluzione artistica di Verdi dal 1842 con il Nabucco al 1871 con Aida, durante il magico trentennio in cui inizia e si compie la straordinaria avventura del Risorgimento. Di tali e tanti eventi Verdi, refrattario a ogni accadimento che non fosse musica, non colse né i confini ideologici né le contrapposizioni politiche. Ma afferrò quanto le masse delle Giornate di Milano, delle battaglie di Novara e Custoza, stanche di una musica tutta frizzi, merletti e sospiri, avvertissero il bisogno di una musica priva di fronzoli ma travolgente, vigorosa, possente. L’empito romantico del suo genio colse in tali storici sommovimenti la suggestione di possibili grandi affreschi musicali, pretesto per cori gagliardi, capaci di generare suggestioni collettive ed entusiasmi di popolo in lotta per la libertà. E colse soprattutto quanto gli avvenimenti che fanno la Grande Storia abbiano effetti sulla piccola, negletta storia individuale, distruggono affetti e identità. Trasformano in cumuli di macerie armonie famigliari costruite nel solco di eredità di culture e di costumi.
Null’altro poteva essere così esplicitamente paradigmatico di tale distruzione, quanto i rapporti padre-figlia, così radicalmente trasfigurati dall’eterno imperversare delle guerre, dai mai sopiti conflitti tra poteri dominanti o classi sociali. Non pare dunque casuale la scelta di brani che delineano le mutazioni dei rapporti padre-figlia quale effetto di vicende storiche assai più grandi: la guerra tra babilonesi ed ebrei nel Nabucco, la guerra tra etiopi ed egizi nell’Aida, la guerra anglo-francese nella Giovanna d’Arco, le diatribe di potere fosco e torbido tra patrizie e plebei nel Simon Boccanegra, lo scontro di pregiudizi nell’alta borghesia francese nella Traviata, lo scontro di classi sociali nella Luisa Miller. Merito va riconosciuto a chi abbia colto tale aspetto della immensa letteratura verdiana, ma merito soprattutto agli interpreti che hanno dato voce e attualità vibrante a tanti travagli.
Amarilli Nizza anzitutto. Il soprano è grande. Grande nell’invettiva come nell’amore, nel cinismo come nella tenerezza, nella brutalità come nella rassegnazione, fonte inesauribile di intense emozioni che già solo l’ascolto rinnova intatte.
Sa trattare così bene il suo respiro e con esso effondere in una musicalità meravigliosa una autentica anima di donna, che ad ascoltarla non si pensa più né al canto né alla voce. Abigaille, Giovanna, Luisa, Violetta, Maria, Aida, assumono in lei una verità drammatica che sottraendole alla estetica della immaginazione le consegna a una umanità autentica nelle sue policromie.
Nell’episodio del Nabucco in cui Abigaille costringe il vecchio Re a sottoscrivere il decreto di morte per tutti gli Ebrei e per sua figlia convertita per amore, la risposta “Sì! …d’una schiava che disprezza il tuo poter!” alla domanda “Prigionier”?, così densa di disprezzo e irrisione raggiunge la somma tragicità di una dannazione michelangiolesca. In tale mirabile scena la potenza della voce e la sapienza del suo impiego nel coniugare il disprezzo e la irrisione fanno di Amarilli Nizza l’unica erede della incommensurabile grandezza di Maria Callas ed Elena Suliotis.
Nel duetto della Traviata Giorgio Germont tenta di convincere Violetta a lasciare suo figlio Alfredo per salvaguardare il buon nome della famiglia. La mutazioni di stati d’animo di Violetta in tale incontro lacerante sono rese da Amarilli Nizza con raffinate mutazioni della voce e della declamazione. Così mentre il “Voi!” alla inaspettata vista di Germont è cantato con vocali lunghe a rappresentare lo stupore di fronte a un signore estraneo, e l’inserto “Donna signore son io e in mia casa…”, è cantato con orgogliosa dignità e fiero vigore, con la frase “così alla misera, che un dì caduta..” esala la sua immensa infelicità che si prolunga fino allo stremo della suprema preghiera “Dite alla giovine, si bella e pura…” cantato a fior di labbra sì da conferire al canto la sublime lievità dell’anima.
In Aida il duetto è il momento in cui il padre Amonasro l’etiope re vinto, cerca di strappare a Radamès attraverso la figlia, segreti militari. All’orrore espresso da Aida “Orrore!...No, no! Giammai!” per un tale tradimento, segue la tremenda accusa “Non sei mia figlia, dei faraoni tu sei la schiava..”. Immensamente grande Amarilli Nizza nell’esprimere con le tante modulazioni timbriche la intensità del dolore provato per tale accusa. Consapevole della profanazione dei templi, degli altari e dello sterminio di madri, vecchi e fanciulli, della definitiva distruzione della sua patria che il suo amore potrebbe generare, accetta l’orrore del tradimento e il sacrificio della rinuncia. E nel saper tramutare in viva risonanza col padre: "Ah! Pietà, pietà, pietà. Padre, a costoro schiava io non sono…" il dolore di un amore da dimenticare nella certezza dell’amore più grande e solenne per la patria, raggiunge vertici di soggiogante bellezza. Irripetibile e commovente fino alle lacrime, la sua intima e dolente riflessione: "Oh patria, o patria…quanto mi costi!". Si irradia da quel canto di dolore un non so che di pacato e profondo che attesta un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo.
Nel Simon Boccanegra, opera buia, complessa e tormentata, il vecchio doge nella sovrumana gioia che lo domina quando riconosce la figlia rapita da decenni e creduta morta, si abbandona alla dolcezza consolatrice dell’abbraccio, simbolo di un nodo d’amore ormai indissolubile “M’abbraccia, o figlia mia”. E nello schiudersi di un mondo di ineffabili letizie piange di un pianto liberatorio. Anche Maria piange quando osserva il derelitto vecchio padre, col viso avvizzito dai dolori e dal tormento nella lunga attesa della figlia. Il canto di Amarilli Nizza in lacrime, lacrime stupendamente descritte da accorati arpeggi dell’orchestra, esprime l’infinita pietà della figlia per la deserta tristezza del padre: “Nell’ora malinconica, asciugherò il tuo pianto…”. Pietà che è anche lacerante malinconia di se stessa e della propria vita dispersa nel tempo, ma che nella intensità dell’abbraccio diviene speranza di un mondo meno tenebroso e torbido:
“Avrem gioie romite, note soltanto al ciel”.
A tanta luminosità di canto e tanta sapienza nella scultura vocale dei personaggi, Roberto Frontali risponde con dovizia di mezzi e severo rigore al dettato della partitura. Pare tuttavia mancare di agilità di stile nel diversificare i diversi personaggi e di uno stesso personaggio descrivere il complesso divenire psicologico. Così gli accenti implorativi di Nabucco, “deh! perdona, deh! perdona …questo veglio non implora che la vita del suo cor!” sono assai simili all’eloquio di Germont “Pura, siccome un angelo, Iddio mi diè una figlia..”. Tuttavia regala momenti stupendi di canto accorato. Nell’incontro di Nabucco con la falsa figlia, Frontali tramuta la ferocia e la durezza del monarca nel tremolio di un canuto re vinto e implorante sì da irradiare un sentimento intenso di dolore e di pietà. Così anche nel duetto di Amonasro con Aida illumina l’umanità dell’eroe nella sua tremenda angoscia di padre e di guerriero stretto tra la impossibilità a rinunciare al combattimento e la impossibilità a sciogliere i dolci nodi della paternità. L’orchestra diretta dal M° Gianluca Martinenghi è assai diligente e correttamente al servizio dei cantanti mai sopraffatti od oscurati. Tuttavia regala alcuni interludi di raffinata orchestrazione come gli arpeggi nell’incontro di Simone con Maria, prosecuzione orchestrale del pianto dei protagonisti, e nella stupenda pausa che nel Boccanegra separa l’intenso “Stringi al sen Maria che t’ama” al cantabile “Figlia! A tal nome palpito…”. Tale silenzio delle voci e degli strumenti, è il silenzio che avvolge padre e figlia nella meditazione congiunta della terrificante potenza distruttiva dell’orgia dei conflitti di potere.
Una edizione discografica dunque originale, ricca di raffinatezze stilistiche grazie soprattutto ad Amarilli Nizza, e densa di spunti che agevolano la comprensione della evoluzione della capacità di Verdi nel saper espugnare la spiritualità dei personaggi, conferendo loro una universalità ormai indiscussa.