martedì 24 marzo 2009

Affascinante lettura della somma letteratura di Sant'Agostino

QUESTO E' AGOSTINO
CHE PIACE A ME
La Vita, il Pensiero, la Santità e la Attualità di Sant’Agostino
di Don Luigi Angelini*

*Vicario Episcopale e Parroco
Santuario Madonna della Sanità
Martina Franca (TA)

Con un’opera gigantesca per le 1586 citazioni antologiche riprese dalla totalità delle Opere di Sant’Agostino, da quelle Autobiografiche, a quelle Apologetiche, Esegetiche, Dogmatiche e Polemiche Don Luigi inserisce la immensa e somma letteratura agostiniana nel dibattito moderno tra Dio e l'Uomo; Ragione e Fede; Libertà e Grazia; Cristo e la Chiesa; Verità e Amore. E nella lettura di tali e tante citazioni si coglie il disegno di rileggere insieme al popolo il significato del patrimonio europeo e occidentale di cultura e di spiritualità, per convertire o riconvertire il lettore scristianizzato pur riconoscendo le impronte decisive del suo secolarismo laico. La visione teologico - pastorale che si coglie dalla selezione di Don Luigi è che il progresso della libertà umana e dei diritti della persona sia anch’esso un portato del cristianesimo, come illustrato da Agostino. Visione assai attuale se si pensi che nel passaggio tra due secoli Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno riconosciuto la modernità quale problema esistenziale e l’alleanza tra Fede e Ragione quale soluzione. L’universalità è infatti un tratto che appartiene a Dio creatore e attore della storia tramite l’Incarnazione e il Logos, così come alla Ragione umana aperta al mistero e al trascendente.
Chi per la fede in Cristo si sente figlio di Dio, deve motivare il suo credo. Compito possibile perché la Ragione non è solo Ragione capace di spiegare ogni atto individuale e ogni fatto storico, ma è Ragione anch’essa universalmente valida, che conosce e sa valutare il confine della sua stessa capacità di conoscere, ovvero il mistero. Dunque, per l’esistenza di una analogia nel segno della verità e del bene tra il divino e l’intelletto umano, la laicità secolare, ovvero il mondo della libertà individuale, del pluralismo dei valori e del relativismo, deve essere aperta al significato e al senso pubblico del sacro.
Essa non deve mai trasformarsi in una religione o in una sua caricatura: lo scienziato deve essere libero nella ricerca, curioso, aperto a sviluppi imprevedibili, ma non deve considerarsi un creatore deiforme e non può pretendere di decidere scientificamente e con protocolli di laboratorio dove si collochi la differenza tra bene e male. Analogamente il politico democratico - liberale deve fondare le sue scelte sul consenso possibile, ma non può credere e far credere che la verità sia ciò che viene stabilito da una maggioranza provvisoria.
Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della Ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte, il tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Questa è dunque la logica e ammonitoria conclusione della lettura del pensiero agostiniano. Le citazioni di Don Luigi sono semplificabili in formule chiare a tutti e che tutti richiamano alla responsabilità di pensare o di essere presenti all’evolversi del pensiero distogliendosi dalla noiosa ripetizione dell’intrattenimento quotidiano. Compito non agevole ma che i testi di Agostino rendono affascinante. Perché essi sono un cesello teologico di qualità, uno spartito gregoriano in prosa, e procedono sempre in modo sorprendente, generoso, stringente e divagante insieme, letterariamente brillante proprio nel senso dell’unione di quell’amor di Dio e di quell’amore per le lettere. Leggasi ad es. la citazione 132 una delle preghiere più belle e più famose delle Confessioni:

Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondendosi la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio nella tua pace” (cit. 132)

Per arrivare a una forma di catalogo dell’antirelativismo, che genera spesso equivoci e false imitazioni, Don Luigi nel racconto argenteo della ricerca di Dio da parte di Agostino, la descrive come ricerca di ciò che permane in eterno, come il “definitivo”, quel “quaerere Deum et inveni illum” che si risolve in dedizione alla Parola e alle parole, nella interpretazione della Scrittura in una comunione spirituale che è il contrario dell’arbitrio culturale individuale. In tale ricchissimo racconto c’è la melodia e il fascino dei Salmi, c’è la musica, c’è il bel canto angelico del Cantico dei Cantici. Concetti gioiosi e lucenti che arrivano dal mondo antico e poi medievale, mondi che il modernismo banale vorrebbe obliterare e cancellare dalla storia dello spirito umano in un superamento secolare definitivo e irreversibile.

Nella raccolta di Don Luigi specialmente notevole è quel tratto che potrebbe essere indicato come liturgia filosofica (p.e. citazione 235 da La Grandezza dell’Anima). Don Luigi abbonda in citazioni che hanno una caratteristica unica: sono in parte omelie, in parte lezioni magistrali, in parte manifesti culturali e politici, cioè filosofici, sulle grandi questioni del tempo. Come la vittoria, con San Agostino, dello Spirito sulla lettera e il primato nella lettura della Bibbia dell’allegoria sul nudo testo della Scrittura. Ragioni per le quali il cristianesimo non è propriamente una religione del libro, e ogni interpretazione o esegesi della Parola, è la sorgente di quel deposito insieme culturale e di fede comunitaria dove è rintracciabile l’antidoto al letteralismo fondamentalista. Ed ecco che dalla lettura attenta di tanta letteratura esplode solenne la consapevolezza della libertà di Spirito di cui l’umanità può beneficiare.
Tuttavia la libertà dello Spirito è sempre in tensione con un legame “d’intelletto e d’amore”. E' tale tensione tra legame e libertà, che va ben oltre il problema letterario dell’interpretazione della Scrittura, ha profondamente plasmato la cultura occidentale. Essa si pone nuovamente anche alla nostra generazione come sfida di fronte ai poli dell’arbitrio soggettivo e del fanatismo fondamentalista. Sarebbe fatale se la cultura europea di oggi intendesse la libertà solo come mancanza totale di legami e con ciò favorisse inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio.
La mancanza di un tal legame, negato dai libertari dell’approdo moderno, e l’arbitrio assoluto non sono la libertà, ma la sua distruzione.

Recensione a cura di Manlio Mirabile

domenica 1 marzo 2009

Roma – Teatro GHIONE
Luci, colori, musica e brio illuminano e ravvivano
La dodicesima NOTTE
di William Shakespeare

Mai si sarà grati abbastanza alla direzione di un Teatro e alla sua Compagnia di Giovani che con afflato e dedizione immensi permettono a capolavori del genio creativo di non restare nell’oblio dei dizionari specialistici, ma di trasmettere ancora viva e intatta la potenza della loro inarrivabile bellezza. Che questo avvenga e avvenga nel pieno di un turbine finanziario e culturale testimonia inesorabilmente come nessuna società in nessun tempo possa vivere senza la magia trasfigurante del Teatro. Quanto segue vuole essere l’accoglimento totale e senza tentennamenti dell’invito fatto al proscenio da uno degli attori, di essere con loro solidali in questo momento di crisi per costruire porte molto larghe perché la frequentazione dei teatri non sia semplice accesso ma esperienza esistenziale indissolubile dalla esperienza stessa dello spirito.
Difficilmente altro autore e altro testo avrebbero potuto supportare tale nobilissimo invito, quanto Shakespeare e la sua Notte dell’Epifania. La dodicesima notte dopo Natale, nella quale il soprannaturale si fa manifesto. Notte fuori del tempo reale, notte magica che termina un periodo e ne inizia un altro. Notte di trasmutazioni, di rinnovamento, di rinascita, in cui ogni cosa può essere rovesciata e assumere il significato opposto. Questa notte è quella in cui l'albero con cui il naufrago Sebastian ha tenuto testa alle onde durante la tempesta e il naufragio, è l’albero del tempo che rovesciandosi come un guanto di capretto attraverso la conoscenza dell'opposto, si tramuta in un albero consapevole di sé e delle sue possibilità, strutturandosi armoniosamente e consolidandosi in una forma stabile, costruttiva e positiva in cui quello che è, è e quello che non e', non è.
Tutta la storia parte dalla tempesta di mare che travolge la nave dove si trovano i gemelli Viola e Sebastian. Prima del naufragio esiste un mondo ancora tutto da comporre: il mondo in cui vivono Viola e Sebastian orfani di genitori, staccati dalla loro radice fisica ma uniti confusamente tra loro, viaggiatori per nave in mezzo alle acque dei loro sogni e delle loro astrazioni mentali. Ma il naufragio cambia il loro stato di pellegrini dell’Eden e sospinge Viola, sicura ormai di aver perduto il fratello, verso la terra di Illiria. "E che potrei farci io, in Illiria?" si chiede Viola quando si ritrova sulla riva del mare con i pochi marinai naufraghi. E’ la inconscia preveggenza che naufragare in Illiria e' come entrare nel mondo della "follia", dove tutto quello che non è, è, e quello che e' non e'. Il suo travestimento in Cesario è l’assunzione di un falso ruolo come falsi sono i ruoli di tutti gli altri vari personaggi. Tutti gli abitanti della terra di Illiria hanno ruoli contrari a quelli dei loro nomi o delle loro qualifiche. Orsino, duca di quella terra, si fa condurre per il naso da Viola, mentre è pazzo per un amore non ricambiato; Olivia, cui il folle Feste dimostra col ragionamento di essere pazza: "... E c'e' più pazza cosa che piangere per uno che e' in paradiso, signora? " si innamora di una donna credendola uomo; sir Tobia, che vuole vivere da ubriacone in una casa dabbene e sposa la serva di Olivia sua cugina; sir Andrew vigliacco ed insulso corteggia qualcuno che nemmeno lo vede; Maria piccante e astuta; Malvolio personaggio desideroso d’amore ma vanitoso, presuntuoso e mal voluto da tutti diventa oggetto della beffa e, turlupinato, finisce nel limbo sottile che separa la logica dalla demenza; il prete, che a Malvolio dovrebbe recare conforto non e' che Feste che si finge tale per accrescerne il disagio e la beffa; Fabian, che da contadino dovrebbe coltivare la terra, si occupa invece della lotta degli orsi. Tutti abitano due "luoghi", due mondi in opposizione e contrasto: la corte di Orsino, maschile, che dovrebbe essere mentale e che invece è sentimentale e la corte di Olivia, femminile, che dovrebbe essere sentimentale e che invece la presenza del folle Feste rende razionale. Due mondi generati dal naufragio dell’equilibrio che teneva assieme i due gemelli. Due mondi ora tenuti assieme dalle due supreme forze complementari misteriosamente operanti sul mare delle coscienze. Sono le forze che rendono possibile l'essere e il non essere, l’uomo e la donna, la gioia spensierata e il dolore cupo, la razionalità e la pazzia, il suono e il silenzio, in una trasmigrazione continua dall’uno all’altro stato, nell’eterno fluire del tempo della infanzia, della giovinezza, della vecchiaia, fino alla morte, ultima scena della vicenda umana. Eterno fluire del tempo che la sottile saggezza di Feste esemplifica nel canto d’addio con l’incessante scrosciare della pioggia: “…E pioveva, pioveva ogni giorno…” .

La regia di Nicazio Anzelmo nell’uso di uno schermo luminoso e cangiante nei colori, sancisce la natura mascherata dei personaggi quasi ad affermare che essi altro non sono che ombre proiettate dalla luce della coscienza sullo schermo mentale; altro non sono che illusioni, traiettorie di un punto, eco di qualcosa che non è, e che per essere è costretto a tradirsi e apparire per quello che non è.

Degli straordinari “assolo” musicali della chitarra, del contrabbasso e di una voce solista, creano una atmosfera magica in cui lo spettatore è come avvolto e, mirabilmente irretito, portato alle vette innevate dell’arte somma della interpretazione.
Uno spettacolo affascinante, nel quale spicca la giovane Selene Gandini -Feste-, tanto più ammirabile quanto più si mediti sulla giovinezza della Compagnia che lo fa vivere. Nella quale tutti seppure con intensità diversa rendono testimonianza alla eredità imperitura lasciata dal sommo magistero interpretativo della indimenticabile Ileana.
Manlio Mirabile
Febbraio 2009