sabato 27 novembre 2010

Il CD di AIDA - Verona 2009


Poetica e incantevole interpretazione
di Daniel Oren e Amarilli Nizza
La Guerra come metastasi della Storia
Tutta la sublime narrazione musicale dell’Aida ha come sudario soffocante la potenza distruttiva della Guerra e delle sue inique metastasi. La Guerra che trasfigura gli spiriti e travolge le anime in umiliazioni non mascherate né avvolte di pietà. La Guerra sotto il cui imperio è impossibile amare ed essere giusti. La Guerra che annienta ogni percezione della miseria umana necessitante giustizia e amore. La Guerra che nell’ardore della vittoria e nell’ansia del trionfo genera una forma di voluttà massiva nella quale la preghiera diventa blasfema e ogni barlume di pietà perde di significato.
L’Aida è la narrazione ricca e struggente di quante falsità e quanta distruzione la Guerra possa generare. E’ nella prospettiva della guerra che trova giustificazione il tramare di Amneris, potente e astuta figlia del Faraone, affinché condottiero delle truppe egizie sia il giovine che lei ama. E’ nella attesa della vittoria in guerra che si colloca il sogno di Radamés, condottiero anonimo, senza lignaggio né storia, di conquistare Aida, fanciulla schiava, vittima innocente di altri furori di guerra. A Radamés nominato condottiero, la casta dei nobili, la schiera dei sacerdoti e il popolo, invocando i sacri Numi in una blasfema invocazione della Guerra, augurano di tornare vincitore. Nella follia disumana che pervade tutti nel grido atroce di Guerra e Morte allo stranier, v’è sola una luce di umanità che si accende tremolante nella sontuosità dell’augurio “Ritorna vincitor”. E’ la voce della fanciulla più pura, più incontaminata, più sofferente, più presente a se stessa nel pronunciare e udire l’empia parola. E’ la voce di Aida. Alla opulenza orgogliosa delle casti dominanti, avide di vittoria e assetate di sterminio, si contrappongono il suo canto e la sua meditazione. Una meditazione sommessa e intima sul destino della sua patria, dei suoi fratelli, di suo padre in catene, una meditazione su se stessa, sull’amore per Radamés suo unico raggio di sole, sul suo destino di schiava rivale in amore di Amneris. Nel contrasto tra l’amore nobile e alto per la patria e l’amore umanissimo e intenso per il suo uomo, avverte l’insostenibile oppressione di un mondo che rende blasfema la sua preghiera, delitto il suo pianto e colpa i suoi sospiri. In tanta cupa oppressione si fa viva per la prima volta un desiderio, presagio di liberazione eterna: la Morte. Così l’intensa meditazione si trasforma in una accorata preghiera ai Numi di soccorrerla nel suo soffrir perché il suo Amore tremendo e fatale, la consegni alla morte. Una canto struggente sintesi della poetica di Aida, opera non lineare nella quale il furore guerriero diventa disumano, e la Guerra nella sua ossessione distruttiva di case, nella profanazione dei templi, nel rapimento delle vergini fanciulle, nella frantumazione degli affetti individuali si conferma inesorabile metastasi della Storia. E infatti dopo le invocazioni blasfeme allo Spirito animatore e fecondatore del mondo, perché protegga l’Egitto, la guerra giunge e con essa i vincitori trionfano e i vinti gemono incatenati e schiavi. La sontuosa celebrazione del trionfo dell’uomo cui Aida ambisce e la umiliazione di Amonasro, suo padre vinto e in catene, accentuano la desolata solitudine di lei vittima di un amore disperato. Con il trionfo, Radamés avrà forse anche la mano di Amneris e per lei resteranno la morte e il nulla. I cupi vortici del Nilo le daranno tomba, e pace e forse oblio. E nella trepida attesa di conoscere da Radamés il suo destino, si eleva in un canto di una nostalgia struggente. In una notte rischiarata dal pallore lunare, al domestico ruscellamento del Nilo descritto stupendamente dal tremolio degli archi e dalla melodia dei fiati, tornano intatte alla mente la sua patria, i cieli azzurri della sua terra, le valli, i colli, le rive profumate, il dolce asilo della sua fanciullezza, i luoghi dei suoi primi bagliori d’amore. Immagini di giorni beati che appaiono non rifugio al dolore ma totalità di una vita cui dovrà dire Addio! La perfezione stilistica e la ricchezza di riferimenti di questa aria sublime riportano alla memoria l’Addio di Lucia ai suoi monti, quell’addio che Verdi conosceva per l’adorazione che aveva per Manzoni, il suo Don Lisander.
Tuttavia una prova ancora più atroce attende Aida. Il giungere a sorpresa di Amonasro invece che di Radamés è il principio di un duetto immortale per densità di sentimenti e inattese mutazioni dello spirito della fanciulla. Il re etiope medita la ripresa delle armi, ha preparato tutto, gli manca solo di conoscere il sentiero del nemico. Un sentiero conosciuto da Radamés e che solo Aida può riuscire a fargli svelare. Nella impossibilità di rinunciare al combattere, ma nemmeno potendo sciogliere i dolci nodi della paternità, tra pietose promesse di riportarla in patria e ai suoi templi d’or, le chiede di tradire Radamés e carpirgli il segreto. All’orrore con cui Aida gli risponde, il re guerriero l’umilia con una ferocia terrificante: Non sei mia figlia! Dei Faraoni tu sei la schiava. Un insulto scagliato da un padre che in nome della guerra atterrisce la figlia e la rinnega. Un attacco violento e distruttivo, esemplificazione della tragedia della grande Storia che si abbatte sopra la piccola storia. Aida cadrà sui cumuli dell’amore distrutto, ma proverà di non essere schiava dei Faraoni, proverà di essere degna della sua Patria. In un pianto intenso, irrefrenabile, accetta il supremo sacrificio e accoglie affranta il peso immane del suo amore per la Patria. Oh patria! O patria …quanto mi costi!
Il successivo duetto con Radamés appare un duetto d’amore i cui i sogni di gloria, di vittorie e amori felici del giovine si intrecciano con la proposta di Aida di fuggire, per sottrarlo al tradimento e non perderlo. Poetica esaltazione e sogno impossibile di abbandonare lande ignude, scordare terre inospitali e cercare altrove estasi beate. La tensione eroica della fanciulla nell’estremo tentativo di salvare Radamés, si coglie intatta nelle sue frasi brevi su cui il respiro si sofferma, prolungamento della dolcezza del sogno e attesa della sua realizzazione. Il rifiuto di Radamés a fuggire è l’esatta inversione dei ruoli. Tra l’amore per la patria e l’amore per Aida Radamés sceglie la patria. La quale tuttavia per amore è da lui ingenuamente tradita. La scoperta dell’inganno e del tradimento è il momento in cui la baldanzosa vanità di un guerriero ansioso di gloria, successi e amore, diventa umanità cosciente della propria debolezza e della propria infermità. Io son disonorato, per te tradii la patria ripetuto con ossessione eleva la fatua personalità di Radamés a una sorta di eroismo che raggiunge il culmine quando pur potendo sfuggire alla legge, si ferma e annuncia, ormai uomo nuovo, Sacerdote, io resto a te. Nella accettazione della condanna c’è del grandioso a testimonianza del prevalere della somma legge della patria sugli affetti sani e santi ma privati. Inizia l’itinerario ultimo di Radamés che dall’apogeo del trionfo si avvia verso la fatal pietra tombale tra il tripudio dei sacerdoti, implacabili, ossessivi, testimoni di una casta pregna di potere e che al potere omicida non rinuncia. La condanna che sta per compiersi nonostante le implorazioni della potente Amneris, testimonia il soccombere di un altro amore umano seppure in qualche forma corrotto, di fronte alla perfidia incensurabile dei custodi di leggi inumane. Radamés colpevole di tradire la patria è condannato a morte con sepoltura da vivo. Nella desolazione che lo vede ormai privato della luce e della vita, il suo pensiero è per Aida, il cui ricordo sollecita parole di speranza: Possa tu almen vivere felice! Ma nel mesto, funereo rintocco dei timpani, al salmodiare dei sacerdoti, Radamés non è solo. Aida è con lui. Nel momento supremo dell’addio alla vita, lo spavaldo condottiero ma sincero innamorato è consolato dalla certezza di non lasciare nessuno a soffrire per lui. La Guerra che ha distrutto i suoi sogni e affetti, appare ora lontana e dimenticata nella visione beata dello schiudersi del cielo e dell’avvicinarsi degli eterni giorni. Elevazione spirituale dei giovani innamorati verso una completezza del loro amore che la valle di lacrime non ha saputo permettere. Il macigno della pietra tombale, l’immenso peso di una storia di guerre schiaccia la loro giovane età e sull’incolpevole amore scende il silenzio ristoratore che i lampi della guerra avevano reso impossibile.
Se questa è la sovrana poesia di Aida, la interpretazione discografica la rende tangibile soprattutto per merito del M° Daniel Oren e la splendida personificazione di Amarilli Nizza.
Luminosa e sgargiante l’orchestrazione di Oren. Sotto la sua direzione tutta l’orchestra vibrante e densa di impasti strumentali illumina le infinite atmosfere, i complessi conflitti dell’opera, l’evolversi delle psicologie individuali e collettive. La musica che sa trarre pare risolvere nello smalto del suo incanto il conflitto di popoli nella cieca irrazionalità della Guerra e il conflitto irrisolto tra la felicità individuale sognata nella sfera della propria Piccola Storia e l’ineludibile, opprimente forza della Grande Storia. L’energica incisività e la sapienza con cui tutta l’orchestra è messa al servizio di tali tratti dominanti dell’opera, rinviano a un magistero capace di descrivere ambienti esotici e lontani nel tempo, così come affetti e invocazioni, dolori e disonori, trionfi, esultanze e addii, che appartengono ad ogni tempo. Due sole citazioni ad esemplificazione di tali meraviglie: il concertato dell’atto II sontuoso e avvolgente nella torrenzialità dell’orchestra, del coro, dei solisti, e i rintocchi di morte dell’ultima scena: perentori, sincopati, rantoli finali di due giovani su cui si appressa a scendere il silenzio eterno.
Amarilli Nizza descrive una Aida memorabile. La prima scelta positiva e differente da altre pur grandi interpreti, è il non immaginare per la fanciulla alcuna età, lasciando indefinito il suo fior degli anni, come la descrive Radamés. Perché le sofferenze, l’angoscia, i palpiti d’amore, la durezza delle scelte non hanno né tempo né luogo, ma sono i grani di un rosario di eventi con cui confrontarsi con umiltà e rassegnazione. Amarilli Nizza canta l’Aida non come una successione di aree, concertati, duetti, forme musicali chiuse ognuna per sé e senza alcuna concatenazione. La sua interpretazione è un insieme di rifiniture di scalpello, che scolpiscono progressivamente a tutto tondo una figura di donna costretta a scelte in bilico tra l’inganno e il tradimento, la fedeltà e la rinuncia, sempre risolte con una sapienza vocale di eterea bellezza. L’acuto non è mai ostentazione o soltanto adesione alla partitura, ma elevazione verso mondi sospirati o sogni impossibili. I suoi piano sono la esplorazione delle infinite modulazioni dell’animo al mutare degli eventi esterni. Il suo respiro è l’angosciosa scoperta della iniquità degli uomini e degli eventi. Il modo con cui trasmette l’intima sofferenza al pensiero di dare l’addio ai cieli azzurri della sua terra o l’infinita amarezza per la resa di fronte alla invettiva del padre e la dolente constatazione di cui è pregna la frase “Oh, patria, oh patria… quanto mi costi, hanno pochi riferimenti nella discografia dell’opera. La quale col canto della Nizza diviene corredo continuo di tarsie: dall’esordio nella paura del fremere di una nuova guerra, fino all’ultimo vaneggiare nell’estasi di un immortale amor. A tanta dovizia di emozioni regalate dal direttore e dal soprano, non corrisponde purtroppo un cast di medesima levatura. In particolare assai lontano è il Radamés di Walter Fraccaro. Pur ignorando vistosi errori quale la pronuncia di Oh re per i sacri Numi, che diventa Oh re per i sacri nomi, si coglie una difficoltà reiterata a coniugare una fonazione corretta con l’altezza o intensità del suono. Così l’Io son disonorato, si trasforma in qualcosa di simile tra il son e il sen, quasi tastiera che batte contemporaneamente due tasti. Di Amneris (Marianne Cornetti) e di Amonasro (Ambrogio Maestri), si devono riconoscere la correttezza formale senza inciampi ed errori, ma pure la mancata immedesimazione nei rispettivi personaggi. Così il loro canto diventa esecuzione di partiture musicali non inserite tuttavia nella storia di anime.