domenica 19 settembre 2010

Puccini e la Scapigliatura


EDGAR
di Giacomo Puccini

Il testamento di un fallimento
Quando nell’avvilimento e nella delusione degli eventi che ne seguirono, si dissolse la tensione etica con cui il Risorgimento aveva impegnato e ispirato le forze intellettuali, vi fu una generazione di giovani letterati e artisti che colse l’enorme sforzo che il processo unitario aveva richiesto e l’urgenza di un rinnovamento di idealità, di forme d’arte, di espressione e di costume. Erano giovani privi di tutto e che vivevano di nulla. La Speranza era la loro religione, la Fede in se stessi il loro codice, la Carità il loro budget. Tra di essi v’erano scrittori, amministratori, militari, giornalisti, poeti, musicisti, un microcosmo indipendente, pronto al bene e al male, irrequieto, travagliato, turbolento. Un microcosmo sostanza costitutiva della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d’indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, assai diverso per le sue speranze e i suoi traviamenti, dal macrocosmo di giovani morigerati e adulti posati, che della vita avevano preso la strada comoda, senza emozioni ma senza pericoli. Un microcosmo tuttavia pregno di ingegni molto più avanti del loro secolo. Erano gli scapigliati italiani, un’avanguardia con il suo immenso carico di contraddizioni, ribelle a modelli precostituiti, che nata sulle ceneri degli ideali risorgimentali, aveva intravisto nella anarchia il suo polo di approdo. Ribellione e anarchia convergenti tuttavia su pochissimi temi che vertevano sul devastante conflitto fra idealità e richiamo dei sensi, fra trascendenza e materia. Conflitto rappresentato dallo scontro fra dio e satana, conflitto stupendamente elevato alla dimensione del sublime dal Faust di Goethe. Un conflitto rivisitato per riscoprirvi il gusto del macabro, del demoniaco e dell’orrido, nel contesto di elementi di un anticonformismo radicale e di una contestazione distruttiva. Contestazione di modelli di vita, comportamenti e paradigmi dell’arte letteraria, pittorica o musicale, che giungeva fino all’elaborazione di idiomi originali, in aperta sfida ai lemmi correnti. Contestazione che apriva frontiere di sperimentazione ardita quali la coesistenza nella medesima opera della componente letteraria come di quella musicale ciascuna coniugata con le proprie forme metriche e geometriche. L’ambizione degli scapigliati era superare gli steccati che dividevano le arti e dare forma unitaria a tutte le forme espressive dell’ingegno creativo. Nacque da tale ambizione l’incontro di molti scrittori con il teatro musicale. Fu un fiasco clamoroso, ma gli scapigliati non erano tanto vocati al successo, quanto allo scandalo, che interpretavano come segno della riuscita del lavoro, perché non riconducibile ai canoni dominanti.
Il libretto di Ferdinando Fontana per l’Edgar di Puccini, fu fra gli ultimi prodotti scapigliati, e le sue caratteristiche, offrono il quadro conclusivo, il testamento del fallimento della Scapigliatura, che la misera accoglienza dell’opera sancì in maniera irreversibile. Vicenda tetra quella dell’Edgar e ostica per chiunque voglia interpretarlo. Una vicenda imperniata su un improbabile conflitto fra bene e male, enfatizzato sin dal nome ad effetto delle eroine: Fidelia dolce e fedele al suo amato oltre le rivelazioni sulle sue depravazioni e oltre la sua finta morte, e Tigrana sensuale, avida di amplessi, di tradimenti e di sangue. Opera gravida di colpi di scena spettacolari quali l’incendio della casa all’atto primo, di atteggiamenti soverchianti del protagonista, sprezzante e depravato nella immonda lussuria, sacrilego nella celebrazione, alla sua presenza sotto la tunica di un falso frate, del suo falso funerale con la bara vuota del suo cadavere. Opera sorretta da un libretto che autonomamente cerca suoi ritmi e scansioni metriche con rime alternate, baciate, interne, che però in distonia con lo stile e la struttura musicale, rende il canto una corsa ad ostacoli piuttosto che la narrazione in musica di una storia umana e credibile. E’ il risultato infelice di un librettista che voleva essere poeta e di un musicista la cui ispirazione era assai lontana dallo spirito scapigliato del librettista.
Cantare un’opera del genere non è solo arduo ma eroico. Eppure le interpretazioni delle due protagoniste danno verità a personaggi improbabili. Straordinaria Amarilli Nizza che distaccandosi con sapienza da un contesto disumano, pone al centro della sua interpretazione la introspezione acuta della irrefutabile verità del suo pensiero di fanciulla innamorata per Edgar. E’ un pensiero quello che canta nell’aria del primo atto “senti lo strano pensier ch’io feci..”, è con un pensiero che chiude l’aria sul falso catafalco del suo uomo Oh Edgar, la tua memoria sarà il mio sol pensiero!....Lassù m’attendi Edgar”. E nel lassù la voce si innalza sulle vette del pentagramma con una soavità di canto che esprime con sfumature commoventi il dolore terreno e la certezza di ritrovarsi. Lassù.
Straordinaria e convincente anche Julia Gertseva nella interpretazione di Tigrana. Splendida presenza scenica, condita da una recitazione disinibita e accattivante nelle scene di libidine “Tu voluttà di fuoco, ardenti baci sognavi..”, ma violenta e furente di fronte al ripudio dei contadini in orazione “Tigrana di voi timor non ha”. Ben diversa la lettura della intepretazione di José Cura, cui va riconosciuta una tecnica vocale assai curata e ben adattata alla osticità del libretto, cui manca però la capacità di descrivere i complessi funambolismi imposti dal libretto, o da essi almeno tentare di estraniarsi. Convincente la direzione d’orchestra del M° Yoram David, assai apprezzabile nella esecuzione del concertato Requiem aeternam con cui si apre l’atto secondo e che in dissolvenza diviene marcia funebre. Tuttavia appare in difficoltà nel dare continuità di suoni e colori all’orchestra nel divagante ordito di una partitura senza finalità. Forse chiunque non avrebbe potuto far meglio per un’opera così scapigliata e che del movimento della Scapigliatura sanciva il fallimento. Un movimento che con l’Edgar entra nella fase preagonica per essere poi sepolto dall’avanzata del verismo e lasciare alle istanze del Decadentismo qualche relitto degno d’interesse.

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