lunedì 10 ottobre 2011

SANTIAGO DE COMPOSTELA -AUDITORIO DE GALICIA

Si rinnova il miracolo del Barbiere di Siviglia

Il Barbiere di Siviglia di Rossini è il miracolo di un genio che sa trattare temi di impegno e analisi sociale con una musica densa di melodie giocose e vivaci, cui un insolito senso del ritmo e un magistrale impiego dei fiati trasmettono una allegrezza, una gioia esuberante di vivere nella pienezza dei sentimenti più infantilmente burloni: lo scherzo, il travestimento, il mutar di voci, la serenata d’amore, il far danaro prestandosi all’inganno ruffiano. Eppure in tale sontuoso monumento musicale si intravedono spunti amari di un mondo disfatto che perduto i riferimenti di un potere assoluto e indiscusso è in cerca di nuovi ordini sociali.

Una nobiltà caduta e un’altra ansiosa di ascendere, una chiesa rappresentata nella sua forma più immorale e risibile, una gendarmeria corrotta che del suo potere abusa per gli interessi amorosi di un rappresentante dell’alta borghesia, sono gli interpreti di quel mondo in disfacimento che tra isterismi e frastuoni tenta una restaurazione di valori. Sopra tale mondo si eleva, nella freschezza della sua giovinezza e nell’ansia del suo amore, un personaggio a suo modo docile, obbediente, casto ma all’occasione forte e vendicativo. E’ Rosina, innamorata di un certo giovine di cui ignora la nobiltà, e a sua volta attesa quale sposa da un signorotto in disgrazia che pone in atto ogni raggiro pur di sposarla e goderne l’eredità.

Rosina fanciulla priva di privilegi di nobiltà ereditata e per questo tenuta quasi in ostaggio, è il simbolo di una società che lontana dagli ardimenti sanguinosi delle rivoluzioni, cerca di sottrarsi alla vigilanza oppressiva e interessata del suo tutore e di realizzare il sogno d’amore con sotterfugi e piccole menzogne, ma senza violenza e senza spargimenti di sangue. Capace di decidere, resistere e vincere, essa è la rappresentazione della sapienza innata della donna, del potere fondamentale, primordiale e attrattivo di cui la natura l’ha dotata nella sua istintiva sensualità e dunque il punto di fuga di tutta l’opera, cui convergono tutte le trame, le inutili precauzioni, le finzioni e le proibizioni. Rosina è un saggio complesso ed esuberante di esplorazione ed evoluzione psicologica, monumento assoluto nella letteratura operistica.

La interpretazione di una ragazza docile e remissiva, scaltra e innamorata, capace di affrontare situazioni buffe e paradossali, ma anche soavi momenti di tenerezza e dolcezza, richiede una personalità di interprete che sappia scolpire il tutto tondo del personaggio con una dovizia di voce, una espressività, un dominio del palcoscenico, assolutamente superlativi.

Il miracolo di una Rosina incantevole l’ha compiuto Alessandra Volpe. Dotata di una voce di mezzosoprano profonda e pastosa, emessa e controllata alla perfezione, ha regalato una cascata di colorature, di variazioni fantasiose, impeccabili e avvolgenti. La cavatina Una voce poco fa, e la lezione di canto Contro un cor che accende amore sono state luminescenze eteree, autentiche lezioni di bel canto, nelle quali la vellutata cavernosità del registro grave mai forzato e raggiunto con intrepida facilità, si univa allo sfavillio di acuti fulminanti, in un fluire ininterrotto di trilli e squilli di rara bellezza, fonte inesauribile di intense emozioni. La cantante ha dato lezione non solo di canto, ma anche di interpretazione. E’ stata solitaria e grande. Grande nell’amore come nel cinismo, nella tenerezza come nella falsa modestia, nell’astuzia come nella docilità. Educata a trattare così bene il suo respiro riesce a effondere in una musicalità meravigliosa una autentica anima di donna. Rosina assume in lei una verità tangibile, che sottraendola alla astrazione estetica della immaginazione la consegna a una umanità viva e vera, ricca delle sue infinite policromie. Il suo ma nello splendido autoritratto della cavatina, raggiunge i vertici di un bastione, linea di demarcazione tra la ossessiva vigilanza del tutore e la difesa dei propri inviolabili diritti di fanciulla innamorata, principio di una Restaurazione etica prima che politica. In modo analogo il duetto con Figaro Dunque io son è reso denso di virtuosismi vocali che pur nella finzione della ingenuità e della modestia esprimono mirabilmente la allegrezza amorosa della fanciulla ormai certa della sua conquista dell’amore e della sua vittoria sulla stoltezza di vecchi parrucconi. Una interpretazione superba dunque, di grandissima classe, cui la bellezza fisica e la enorme perizia tecnica pongono la signora Volpe di diritto accanto alle grandissime interpreti di Rosina.

Accanto a lei, occorre di necessità citare la direzione d’orchestra di Antoni Ros Marbà. Con somma maestria ha acceso la partitura di mille colori cangianti già avvertibili nella luminosa bellezza della sinfonia e culminanti nella splendido accompagnamento con chitarra della serenata di Lindoro. La sua orchestrazione è impreziosita di sfumature morbide nei momenti di dolci sussurri e ardimenti orchestrali soprattutto nel canto corale là dove l’intreccio pare inestricabile e opprimente come nel sestetto finale del I Atto. In tale pezzo corale l’arte sublime di Rossini in materia di polifonia e contrappunto, è resa magnificamente in tutta la sua invasiva fascinazione nella perfetta integrazione delle sei voci con la dovizia di suoni e colori dell’orchestra. Certamente il punto più alto e più avvolgente di tutta l’orchestrazione. Sotto la sua direzione tutta l’orchestra ha dispiegato un afflato intenso con i cantanti, riuscendo a svolgere volta a volta il ruolo descrittivo dei sentimenti e delle situazioni come nella turbolenza del temporale, a volte divenendo parte integrante del canto e della scena.

Notevole e ben agguerrito anche Paolo Borgogna nel ruolo di Don Bartolo. Ne è scaturito un personaggio equilibrato tra la scemenza di un vecchio diffidente e ridicolo, dall’umore pomposo e pedante, e un vecchio consapevole delle proprie sconfitte e risoluto a non cedere. La fonte di tanta risolutezza è la sua dottrina, annunciata con solennità nell’aria A un dottor della mia sorte, la quale da un lato giustifica l’autodefinizione di dottore saggio e convinto, dall’altro dà ragione alla sua capacità di saper essere paterno Son disposto a perdonar e protettore So ben io quel che ho da far. A tali modulazioni del personaggio Borgogna ha saputo conferire tutta la ricchezza del suo repertorio di cantante e di interprete. Il passo svelto, la costante mobilità delle braccia, le diverse smorfie facciali, le diverse fonazioni delle frasi musicali hanno trasformato un personaggio buffo e cialtrone, in una figura più umana di fronte all’ostinato silenzio della ragazza, capace di sentimenti meno primitivi e più elevati.

Assai meno esemplare il Don Basilio di Simòn Orfila, il quale seppur dotato di una voce corposa e penetrante, ha cantato l’aria della Calunnia con la scioltezza di un saggio di canto, non inserito in un contesto corale di personaggi e situazioni, né consapevole del ruolo perverso, meschino e imbroglione che la musica gli affida. La ricchissima descrizione dei meccanismi con cui una calunnia diviene strumento distruttivo di personalità, una descrizione supportata dalle frasi insidiose e progressive dell’orchestra, il suo sibilando che dovrebbe riprendere il sibilo velenoso del serpente espressione primigenia del peccato, pérdono di pregnanza e si arrendono a una interpretazione statica nelle modulazioni della voce e nella fissità delle movenze corporee.

Di ben altro spessore la Berta di Leticia Rodriguez. Personaggio assai marginale nell’evolversi degli eventi ha saputo dare peso e spessore al suo ruolo grazie a una presenza in scena quasi costante, grazie alla immaginazione registica di essere essa stessa confidente di Rosina e amante di Fiorello. La sua mobilità, il percorrere il palcoscenico quasi senza posa, le hanno permesso di svolgere il ruolo assai verosimile di donna tutta affari, confidente, amante, intermediaria delle relazioni amorose tra Rosina e il Conte. Con tale invenzione registica riesce agevole spiegare la sua presenza nel sestetto che chiude il primo atto. Sestetto nel quale la sua voce potente e ben usata non ha solo dato maggior equilibrio alla distribuzione delle voci, ma anche il senso di coinvolgimento attivo nel confuso intreccio di falsi militari, false fedeltà e giovanili ardori amorosi. Intreccio preludio di pazzie e rappresentazione inoppugnabile di un disordine di ruoli e di identità perdute, nel quale ogni armonia diventa barbara e ogni cervello perde lucidità, non ragiona, si confonde, si riduce a impazzar.

Onesto lavoro per il Conte di Juan Antonio Sanabria, di cui colpisce la umiltà scenica piuttosto che non il fascino della emissione, la bellezza del timbro. Umiltà che tuttavia gli consente di evitare spericolati virtuosismi e che forse ha motivato la soppressione dell’insidiosissimo rondò Cessa di più resistere.

Poco da dire sulla interpretazione del Figaro di Damiano Salerno, poco in forma come onestamente annunciato.

Una riflessione infine sulla regia di Curro Carreres. Una regia la quale privilegiando il canto e la musica alla ambientazione, ha saputo descrivere i diversi momenti con un sapiente gioco di luci su di un palcoscenico accidentato da dossi assai evidenti. Così con mezzi e risorse limitate Carreres è riuscito a descrivere l’accidentato percorso di tutti i personaggi costretti a muoversi non per traiettorie lineari e prevedibili, le traiettorie della onestà e della trasparenza, ma per dossi da evitare come trappole di inganno. Il gioco di luci, le luminosità estese calde del calore dei gialli, o le atmosfere dominate da luci bianche e livide hanno accompagnato le situazioni nell’alternarsi della loro chiarezza e gaiezza o del loro imbroglio torvo di inutili precauzioni. Su tale palcoscenico immersi in tali giochi di luce, tutti i personaggi si sono mossi con sapienza, accortezza e verità.

Alla fine uno spettacolo gioioso, che ha strappato oltre che il sorriso riposante applausi convinti che all’apparire di Alessandra Volpe sono diventati scroscianti. Una ovazione meritata e correttamente tributata alla maggiore interprete.

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