mercoledì 18 gennaio 2012

Roma Palazzo Venezia

ROMA AL TEMPO DI CARAVAGGIO


L'arte come forza espressiva e risolutiva anche in campo etico


Che il barocco, e il barocco romano, non fossero espressione di una retorica vuota di senso e soprattutto di etica mi era da tempo noto. Ma non potevo immaginare che la Roma barocca potesse essere il luogo dove è nata la modernità, e forse anche se non la laicità almeno il relativismo. Pensieri così balzani mi sono venuti in mente visitando la bellissima mostra su “Roma al tempo di Caravaggio” allestita a Palazzo Venezia. Le opere esposte coprono un periodo di ca. 40 anni, attraversati da Pontefici sommi, quali Clemente VIII Aldobrandini, Paolo V Borghese, Gregorio XIV Boncompagni, Urbano VIII Barberini. Con l’Anno Santo del 1600 “il papato cattolico celebrava la riconquista del suo predominio dopo la grande paura luterana”, spiega il catalogo Skira, e Roma “diventava la capitale culturale d’Europa, popolandosi di migliaia di artisti provenienti dall’Italia e dalle grandi nazioni del Vecchio continente, Spagna, Francia, Germania, le Fiandre, i Paesi Bassi”.

Cosa avvenne? Cosa fu? Fu tutto un mescolarsi, un confrontarsi, un sovrapporsi di stili, linguaggi, esperienze, come nella Parigi postimpressionista. Forse più ancora che nel suo pieno Rinascimento, la città divenne una fucina irripetibile nella quale prese avvio quella straordinaria rinascita artistica della Città Eterna, i cui esiti saranno percepiti in tutta Europa fino alla fine del XVII secolo. Eppure non era Roma la città dove era messo a rogo Giordano Bruno e Galileo Galilei veniva condannato per le sue eretiche teorie astronomiche? Sarà pure vero che quella Roma segnata dal potere temporale tridentino fu una città “reazionaria”, ma occorre ammettere che dalla sua vicenda culturale ben distinta da quella politica prese avvio una forma di barocco liberale.

C’è infatti nella mostra di Palazzo Venezia, un quadro, “Susanna e i vecchioni”, opera prima di Artemisia Gentileschi che rappresenta il noto episodio biblico, immerso in una inaspettata e cruda sensualità, tanto da poter essere considerato quasi un evento nella storia dell’arte e del nudo. V’è poi l’“Amore dormiente” di un certo Battistello Caracciolo in cui l’erotismo omosessuale non è meno esplicito dei nudi giovanili dello stesso Caravaggio; opere assai lontane dalla rappresentazione dell’Amor sacro e Amor profano con cui Tiziano aveva riportato in un’aura di idealizzazione purificatrice anche il nudo femminile. Col nudo appare la natura morta, quale il libro legato in pergamena nella tela del sant’Agostino attribuito al Caravaggio o il grande violoncello e il Liuto della Santa Cecilia di Carlo Saraceni. Trattasi di un tema che stravolge la scala dei valori e che elevando alla dignità di primo piano l’oggetto, l’essere inanimato, rimuove la centralità dell’uomo rinascimentale. Ancora una volta il barocco romano è anticipatore. Nell’epoca della fine di ogni certezza, dispersa nelle brume negli infiniti mondi di Bruno e Galilei, l’uomo non ricostruisce più lo spazio secondo le regole intellettuali e geometriche della rigorosa prospettiva rinascimentale, ma irrompe con prepotenza con forme al servizio della vista e dei sensi. Così il rito, la cerimonia, la pompa, sostituiscono la verità, restituendone solo l’illusoria, teatrale metafora. Eppure questa gigantesca eversione avveniva a Roma, nella città dove aveva sede il papato, l’incrollabile cattedra della fede unica, nella Roma della Controriforma che fu spietata con gli eretici e politicamente oppressiva. Ma se si rivendica all’arte una propria forza espressiva e risolutiva anche in campo etico, non v’è dubbio che nel barocco romano sono attivi e fecondi valori di libertà e di laicità, fondamentali nella formazione dello spirito e del relativismo moderni.


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